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Skill gap, quanto costa il divario di competenze al sistema-Paese

Un’indagine di BCG pubblicata a fine 2020 ha rilevato che nei Paesi Ocse almeno un lavoratore su tre è sovraqualificato o sottoqualificato. Inoltre la mancanza di competenze e lo scollamento tra domanda e offerta (skill mismatch) incidono ogni anno di più sul Pil globale. Ecco le strategie per colmare il divario

Pubblicato il 20 Gen 2021

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Lo skill gap minaccia la crescita globale, non solo economica ma anche sociale e personale. Il divario delle competenze e il mancato incontro tra domanda e offerta di competenze sul mercato (skill mismatch) sono problematiche intrinseche al mercato del lavoro stesso, ma sicuramente sono balzate alla luce con l’avanzare della digitalizzazione. Questa richiede skill quanto mai specialistiche e, soprattutto, in costante evoluzione per tenere il passo con i progressi tecnologici.

Un’indagine di Boston Consulting Group (BCG) pubblicata a fine 2020 (Alleviating the Heavy Toll of the Global Skills Mismatch), ha rilevato che, in tutto il mondo, almeno 1,3 miliardi di persone sono sovraqualificati o sottoqualificati. Per i Paesi Ocse, si parla di un lavoratore su tre.

In Italia, secondo lo European Centre for the Development of Vocational training (Cedefop) dell’Unione Europea, a fine 2020 i posti di lavoro vacanti in ambito ICT sono 135mila. In tutta Europa sono 750mila. La causa principale è lo scollamento tra domanda e offerta di competenze.

Che cosa è lo skill gap

Lo skill gap (o skills gap) è l’assenza di risorse dotate di competenze adeguate per svolgere un determinato lavoro.

Altrettanto temibile è lo skill mismatch: i lavoratori ci sono, ma a causa dell’evoluzione delle tecniche e dei mezzi le loro competenze non sono più adatte. Oppure l’offerta di competenze sul mercato non corrisponde alla domanda: per esempio, le aziende cercano data scientist, sviluppatori di app e esperti di statistica, ma la maggior parte dei laureati non segue percorsi di studio nelle materie tecnico-scientifiche (STEM).

La richiesta di competenze digitali continua infatti a crescere, ma non c’è ancora un adeguato riscontro in termini di formazione universitaria e aziendale, come evidenziato in Italia dall’ultimo Osservatorio Competenze Digitali. L’Osservatorio è condotto dalle maggiori associazioni dell’ICT – AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia – insieme all’Università Bicocca di Milano, e promosso da Miur e Agid. Si basa sulle ricerche di personale ICT effettuate via web dalle aziende di tutti i settori.

Il costo della mancanza di competenze

Lo skill gap ha ricadute economiche pesanti (come suggerisce il termine “heavy toll” nel titolo dello studio di BCG), che la pandemia di Covid-19 ha esacerbato. L’indagine del gruppo della consulenza parte dai dati del 2018, quando lo skill mismatch si traduceva in 8mila miliardi di dollari di Pil mancato ogni anno, equivalenti al 6%. Per il 2020 si prevedeva di arrivare al 10% del Pil. Nello scenario peggiore si toccherà l’11% del Pil fino al 2025, pari a 18 mila miliardi di dollari, su scala globale.

La Commissione Europea stima che, entro il 2020, il 90% delle professioni non ICT richiederà skill digitali. Tuttavia, solo il 3,5% degli studenti universitari frequenta un corso di laurea in ICT, e 1 lavoratore su 3 non possiede competenze digitali di base. Questa carenza si riflette sulle performance aziendali: 4 aziende su 10 hanno dichiarato un calo nella produttività e nella retention dei clienti a causa della mancanza di abilità digitali.

Più aumenta lo skill mismatch e peggiore diventa la prestazione di un Paese: la relazione con innovazione, produttività e sviluppo sostenibile è inversa. La pandemia ha aggravato l’impatto: il processo di digitalizzazione e di automazione è accelerato e mette ulteriore pressione sul sistema formativo perché tenga il passo.

In Italia la ricerca “Il futuro è oggi: sei pronto?” condotta da University2Business ha messo in luce come oltre 2 aziende su 3 considera le competenze imprenditoriali e digitali requisiti molto importanti per assumere, ma il 76% fatica a trovare laureati digitalmente preparati. Allo stesso tempo, però, sono ancora poche le imprese che investono nello sviluppo di competenze digitali (38%) e imprenditoriali (28%) dei propri dipendenti.

Skill gap, come si colloca l’Italia

BCG ha messo a punto il Future Skills Architect (FSA), strumento che consente di analizzare le prestazioni di un Paese calcolandone l’indice di “maturità”, o FSA Maturity Index, relativo alla presenza di competenze richieste dal mercato del lavoro (basato su 59 indicatori e calcolato per 75 Paesi del mondo). In questo indice l’Italia si trova al 34mo posto. La nostra percentuale di skill mismatch ammonta al 38,2% (l’Olanda, al primo posto generale, è al 37,7%), con quasi 10 milioni di lavoratori male assortiti. L’azione del governo per sviluppare nuove competenze ha un punteggio di 44,2 su 100, appena al di sotto della media mondiale, 45.

Meglio la Lifelong Employability, che ne ha poco più di 52 (su un punteggio medio di 43) e la Skill Liquidity, che misura l’ampiezza, anche geografica, delle domande di lavoro: punteggio di 62 su una media di 50.

Sul lato opposto, la formazione e impiegabilità continua e il livello di partecipazione ai MOOC (Massive Open Online Courses) in Italia è due volte inferiore a quello dei Paesi leader (Olanda, Usa, Svizzera, Singapore, Australia, Islanda, Canada). La percentuale delle persone che lavoravano da remoto in epoca pre-Covid era ferma al 23% contro il 40% dei primi in classifica.

Le strategie per colmare il divario

Per l’Osservatorio Competenze Digitali occorre accelerare nella formazione di competenze digitali avanzate a tutti i livelli. Si va dalla formazione universitaria specialistica e degli ITS alla ricerca, sviluppo e innovazione, alla cultura digitale nei corsi accademici, fino alle iniziative di upskilling e reskilling delle professioni ICT più tradizionali e in phase-out. Ciò consente di rendere cultura e competenze digitali un efficace fondamento della competitività del sistema formativo ed imprenditoriale italiano.

Negli Stati Uniti uno studio pubblicato dalla Society for Human Resource Management (SHRM) individua alcune strategie per ridurre il divario di competenze. Tra queste c’è la ricerca di talenti in bacini solitamente inesplorati. Per esempio, lavoratori meno giovani, che spesso hanno alle spalle anni di esperienza e un ricco bagaglio di skill; lavoratori diversamente abili; e talenti esteri.

È importante anche cambiare la mentalità e le pratiche dell’HR e dei recruiter. I CV vanno letti con occhio più attento alle specifiche skill cercate ma anche alle soft skill. Per conoscere il candidato sono utili presentazioni e colloqui via video. Il concetto di diversity va ampliato: non c’è solo la diseguaglianza di genere o di etnia, ma anche quella socioeconomica, per esempio. Occorrono attività di formazione per i recruiter, non solo per il personale.

Secondo BCG, le policy aziendali e governative che possono attenuare gli impatti dello skill gap poggiano su sette “mattoni”: la presenza di skill di base, l’implementazione di iniziative di lifelong employability (non si smette di studiare, imparare e aggiornarsi), l’auto-realizzazione del lavoratore, un’analisi delle risorse umane che sia centrata su bisogni, abilità e talenti della forza lavoro, l’accessibilità delle offerte, la skill liquidity, che favorisce l’accesso anche da aree diverse e lontane (attraverso, ad esempio, il lavoro da remoto), e l’apertura all’inclusività. Sono sia parametri di valutazione che possibili settori su cui intervenire.

Chi se ne deve occupare? La Strategia Nazionale

Chi ha il compito di sanare lo skill gap, le imprese o i governi? Secondo un’analisi di Harvard Business School le aziende, soprattutto le “leader”, devono farsi portatrici di un sistema di sviluppo delle competenze guidato dai datori di lavoro caratterizzato da “rigore e disciplina”. Tuttavia, per creare delle talent pipeline veramente robuste servono alleanze pubblico-private. È fondamentale che imprese, governi e mondo della formazione si affianchino per gestire e sanare in modo efficace il divario delle competenze.

In Italia il Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione ha firmato a luglio 2020 il decreto di adozione della Strategia Nazionale per le Competenze Digitali. Nata da un tavolo di lavoro multi-stakeholder (Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Università, istituti di ricerca, imprese, professionisti, Rai, associazioni e varie articolazioni del settore pubblico, e organizzazioni aderenti alla Coalizione Nazionale), la strategia si prefigge quattro obiettivi: combattere il divario digitale, sostenere lo sviluppo delle competenze digitali lungo i cicli di istruzione, promuovere lo sviluppo delle competenze chiave per il futuro e garantire a tutta la popolazione la possibilità di acquisirle.

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