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Digital skill, in Italia servono più laureati per colmare il gap delle competenze 4.0

Le aziende sono a caccia di Data Scientist, analisti, sviluppatori, e specialisti di Mobile, Cloud, Cyber-sicurezza. Secondo l’Osservatorio delle Competenze Digitali, sostenuto da Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia, entro il 2018 si possono creare 57.000 nuovi posti di lavoro nel settore ICT. Obiettivo: far entrare i professionisti del digitale anche nelle PMI

Pubblicato il 08 Giu 2017

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Big Data, Cloud, Mobile, Cyber-security: sono questi i settori ICT in cui le aziende italiane cercano professionisti. La promessa per chi cerca lavoro è ghiotta: nel 2016 si sono creati 28.000 nuovi posti di lavoro che richiedono specializzazioni ICT e entro il 2018 se ne potrebbero creare altri 57.000. I dati arrivano dalla terza edizione dell’Osservatorio delle Competenze Digitali, sostenuto da Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia, e promosso da Miur e AgID. Soddisfare la domanda di competenze è però una vera sfida.

Cercasi professionisti del digitale

L’Osservatorio ha analizzato 175.000 annunci di lavoro su web nell’ultimo triennio, di cui 60.000 solo nel 2016: la domanda di professioni digitali in Italia cresce mediamente del 26% ogni anno, quella di specialisti del digitale (IoT, Service development, Service strategy, Robotics, Cognitive & Artificial intelligence) anche del 56%; ci sono picchi del 90% per Business Analyst e Data Scientist. Anche le professioni ICT più tradizionali sono una garanzia: la richiesta di analisti programmatori registra un +24% nel 2016, +30% gli annunci per System analyst, addirittura +60% per i Web developers. Change manager, Agile coach, Chief Digital Officer, IT Process & Tools architect, Project manager, Security analyst sono tra le figure più ambite.

Sempre più ICT in tutte le professioni

Determinante secondo l’Osservatorio è lo Skill Digital Rate, ovvero il grado di pervasività delle competenze digitali all’interno di una singola professione: nel 2016 nelle professioni ICT le competenze digitali incidono per il 68%, con picchi dell’80% per le nuove figure per gli ambiti IoT, Mobile, Cloud; nelle altre professioni l’incidenza è comunque alta (tra il 55 e il 64% circa) per effetto dei cambiamenti stimolati da Industria 4.0 e dalla relazione digitale con il cliente. L’85% delle PA intervistate, invece, ha bisogno di competenze digitali per far fronte alla digitalizzazione dei servizi a cittadini e imprese (con innovazioni come Spid, PagoPA, Fascicolo Sanitario Elettronico).

Mancano i laureati

Di fronte a questo quadro entusiasmante per chi cerca lavoro resta il dato a tutti noto: in Italia il 40% dei giovani è disoccupato. Da dove nasce il paradosso? Il mercato del lavoro richiede il 62% di laureati e il 38% di diplomati, mentre il nostro sistema formativo propone troppi diplomati (8.400 in eccesso) e pochi laureati in percorsi ICT (dove esiste un deficit di 4.400 figure professionali). Inoltre, benché le immatricolazioni in facoltà dell’area ICT siano in crescita (26.000 nell’attuale anno accademico, +11% rispetto a quello precedente), il tasso di abbandono di queste stesse facoltà è del 60%.

Il peso delle soft skills e il ruolo delle università

Sicuramente c’è da superare un ostacolo o pregiudizio culturale verso le materie scientifiche (pesa molto nelle donne, che sono solo il 20% delle matricole nelle facoltà tecniche, addirittura il 13% in informatica), ma attenzione: le aziende hanno fame non solo di programmatori ma anche di manager e di soft skill. Di informatica e digitale basteranno le nozioni base unite a buone capacità di utilizzo dei social media.

L’università non è al passo: mentre esistono corsi e lauree per i settori emergenti dei Big Data, degli Analytics e della Cyber-security, il Cloud è il grande assente dei programmi universitari italiani; inoltre, nelle facoltà non ICT, le competenze digitali sono trascurate: nessuna formazione in proposito per circa la metà dei 4.362 corsi di laurea esistenti, come denuncia il Cini, il Consorzio Interuniversitario per l’Informatica che dalla prossima edizione parteciperà all’Osservatorio delle Competenze Digitali e che stimolerà gli atenei a “fare di più”.

PMI e reskilling per la trasformazione digitale

Intanto le imprese, come dimostra la partecipazione delle grandi associazioni italiane dell’ICT all’Osservatorio delle Competenze Digitali, si attrezzano, da un lato cercando di spingere su retribuzioni e benefit per attrarre giovani e evitare la fuga all’estero (il trend è già positivo: le retribuzioni del settore ICT italiano sono cresciute nel 2016 di circa il 5%), e dall’altro assicurandosi che i professionisti del digitale arrivino fino alle PMI. Importanti anche le attività di riqualificazione professionale delle imprese: il digitale rende parte delle competenze esistenti obsolete e, accanto all’assunzione di nuove figure, occorrerà almeno una parziale riconversione del personale presente tramite percorsi di reskilling. Tra le soft skill di cui le aziende hanno bisogno oggi c’è proprio la capacità di far dialogare le molteplici professionalità e generazioni presenti nei team e di guidare le persone a lavorare in modo diverso: è “un fattore critico che conferisce un vantaggio competitivo”, come ha sottolineato il Presidente di Assinform, Agostino Santoni.

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