Analisi

Automazione e lavoro, Corso: «Incentivare nuove professioni e osservare i nuovi bisogni»

I robot in fabbrica sono solo la punta dell’iceberg: tutte le professioni saranno impattate dalla trasformazione digitale, non solo gli operai. Secondo Mariano Corso, docente al Politecnico di Milano e direttore scientifico di P4i-Partners for Innovation, sarebbe utile detassare il lavoro, reperire risorse con una più equa distribuzione, ma soprattutto focalizzarsi sulle professionalità emergenti, quelle che oggi sono quasi introvabili

Pubblicato il 28 Mar 2017

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Il dibattito sul futuro del lavoro e sull’impatto dell’innovazione digitale sull’occupazione si è riacceso dopo il recente intervento di Bill Gates, che ha proposto come soluzione di breve periodo la tassazione dei robot, che stanno prepotentemente entrando nelle fabbriche soppiantando molti operai. Una soluzione che la maggior parte degli economisti giudica di fatto inapplicabile, ma che ha il merito di squarciare il velo sulla questione, che resta urgente affrontare.

La pensa così anche Mariano Corso, docente di “Leadership and innovation” al Politecnico di Milano e direttore scientifico di P4i-Partners for Innovation: «Dal taxi driver alla commessa, i lavori che oggi sono a rischio di sostituzione sono tantissimi, e l’operaio in questo momento è per certi versi soltanto il problema più noto. Si sta aprendo un bel dibattito: la cosa strana è che non si concentri sul tema, ma su una specifica soluzione, quella della tassazione sui robot. Bill Gates ha avuto il merito di lanciare una provocazione, ma la soluzione in sé mi sembra inapplicabile, oltre che potenzialmente controproducente. Tassare la produzione equivarrebbe al luddismo e al sabotaggio dei telai all’inizio del 1800. In altre parole, il problema non si può risolvere rallentando l’innovazione», dice l’esperto in un’intervista a CorCom.

La verà novità emersa negli ultimi mesi con l’accelerare dell’innovazione soprattutto nel campo dell’intelligenza artificiale è nel tema dei servizi e del lavoro di concetto: «Riguarda i medici, gli avvocati, i broker finanziari, fino ad arrivare ai docenti universitari. Sarebbe un errore “discriminare” i robot nei confronti di tutti gli altri trend tecnologici già in atto».

Quale può essere allora una soluzione valida? «Piuttosto sarebbe utile detassare il lavoro – dice Corso -. In prospettiva il reddito di c

ittadinanza è una misura che trovo ovvia, soprattutto dal momento che stiamo assistendo a una polarizzazione dei redditi e del lavoro: si va verso uno scenario in cui poche persone lavorano tantissimo e hanno livelli di produttività sempre maggiori, e una fetta crescente di persone schiacciate verso lavoro a bassissimo contenuto di competenze. Ma la storia ci insegna anche che andremo verso la creazione di nuovi lavori, mestieri e bisogni. Sarà fondamentale accompagnare l’emergere di nuovi bisogni, nel campo ad esempio della cultura, o del “care” delle persone. In più oggi ci sono professionalità quasi introvabili, dai data scientist a quelle legate alla customer interaction, che andranno incentivate».

Secondo Corso, le risorse per affrontare il cambiamento si possono reperire con una migliore distribuzione. «La tecnologia genera ricchezza: la torta sta diventando più grande, ma è suddivisa in modo iniquo. Una partita importante si giocherà nel campo del welfare, dove ci sarà bisogno di accompagnare un assestamento del sistema in cui alcune categorie avranno bisogno di essere protette e garantite in uscita dal sistema del lavoro. Il contrario di quanto accade oggi, dove il meccanismo non lascia uscire gli anziani e non lascia entrare i giovani.  Dal momento che la ricchezza è tanto aumentata, se si vuole distribuirla in modo più armonico sarà necessario tassare meno il lavoro e tassare di più la rendita. Mi piacerebbe che si aprisse un dibattito serio e non ideologico sulla redistribuzione del reddito, anche a livello internazionale, perché il tema è così complesso che non si troverà mai una soluzione efficace a livello locale. Se uno stato mette una tassa e quello vicino è un paradiso fiscale, l’effetto sarà soltanto lo spostamento della residenza dei ricchi. Il dibattito dovrebbe essere globale, e mettere in moto leve che permettano di tassare effettivamente la rendita dove si genera, per redistribuire il reddito.

Infine, il grande tema delle competenze. Da una parte è necessario il reskilling della popolazione occupata, dall’altra con la formazione di chi ancora non è entrato nel mondo del lavoro. Il primo obiettivo si può ottenere detassando gli investimenti in formazione, il secondo lavorando sul sistema educativo e puntando molto sull’orientamento, per dare a chi è all’inizio del percorso le professionalità e gli skill di base di cui hanno bisogno. Qualunque cosa debbano fare i ragazzi nel futuro, dovranno convivere con le tecnologie: se non sapranno utilizzarla saranno fuori dal mercato. In più bisognerà dare ai giovani i mezzi per sapersi reinventare, in termini di professionalità, più volte durante la loro vita lavorativa, anche attraverso dinamiche creative. Sull’orientamento si giocherà una partita importante, perché i sistemi occidentali, soprattutto in Europa, a differenza di quelli asiatici, fanno fatica a indirizzare gli studenti nei settori che offrono più sbocchi.

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