Organizzazione

Filiali all’estero? Bisogna cambiare comportamenti e regole

Non si tratta solo di capire la cultura locale, ma di analizzare bene relazioni industriali e mercato del lavoro. Negli Stati Uniti manca il contratto collettivo nazionale, in Asia si hanno tassi di turnover anche oltre il 100%. Vince l’osmosi, non l’atteggiamento coloniale

Pubblicato il 20 Mag 2013

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Mario Carraro, l’imprenditore padovano dell’omonimo gruppo, quel giorno era molto arrabbiato. L’ingegnere mandato in avanscoperta in India per verificare la possibilità di aprire uno stabilimento era tornato. E trionfante aveva confessato: “Sono riuscito a mangiare pasta al dente tutti i giorni”. La mancanza di apertura e curiosità verso le tradizioni locali non era un bell’inizio per una società (Carraro Group) che presto avrebbe avuto anche un po’ di dipendenti indiani.

Perché quando ci si espande all’estero bisogna anche cambiare i comportamenti e le regole. Di questo si è parlato a Bologna, nello stabilimento di Ducati Motors, nell’incontro organizzato da ADP che aveva come tema “La gestione delle aziende e delle persone in contesti locali e globali”.

Multinazionale americana con 57mila dipendenti sparsi in 125 Paesi focalizzata sui servizi che gravitano intorno alle risorse umane, ADP ha organizzato l’incontro in occasione dell’uscita delle terza edizione del libro “Risorse umane” di Giovanni Costa, ordinario di strategia d’impresa e organizzazione aziendale all’Università di Padova, e Martina Gianecchini, professore associato di organizzazione aziendale sempre a Padova.


Dalla cultura alle relazioni industriali
La teoria del libro è stata mixata con la pratica delle testimonianze aziendali. Così, Martina Giannecchini ha spiegato che se è necessario capire la cultura del Paese in cui si opera, allo stesso tempo questo non è sufficiente perché bisogna comprendere anche le relazioni industriali.

Si tratta di abbinare aspetti soft (la cultura) e hard (le relazioni industriali) che formano la moderna cassetta degli attrezzi di un responsabile delle risorse umane.

Un parere supportato dalle testimonianze di chi all’estero ci è andato e ha toccato con mano cosa sia la diversità.

Lucia Bucci, HR director di ADP, ha sottolineato l’importanza dell’abbinamento fra team internazionali per la realizzazione di progetti tecnologici. L’approccio usato è di tipo “G-local”, ovvero “pensato” a livello globale, ma poi implementato a livello locale nelle varie country..

Luigi Torlai, HR director di Ducati che ha due stabilimenti all’estero è presente in numerosi Paesi e da un anno ha avviato l’integrazione con Audi che l’ha acquisita, ha raccontato invece la sua esperienza sul fronte delle differenze culturali.


Quale legge si applica per i colloqui via Skype?
Secondo Torlai è più facile gestire il personale in Thailandia rispetto agli Stati Uniti “dove se non conosci quelle due o tre cose importanti rischi di andare a sbattere”. Prendiamo i colloqui di lavoro. Oggi si fanno anche su Skype, ma quale normativa si applica? Se per esempio si chiede l’età al colloquio e la persona poi non viene assunta, il candidato, se si applica la legislazione americana, può fare causa. Ma su Skype quale legge si applica?


Le retribuzioni negli Stati Uniti
Poi ci sono le retribuzioni “Noi sosteniamo che il bonus è oltre lo stipendio, negli Stati Uniti invece sono di parere contrario perché nel contratto di lavoro il bonus è una parte della contrattazione e se non lo dai non si sentono tutelati dal punto di vista contrattuale. Gli americani, inoltre, non hanno il contratto collettivo nazionale e quindi ogni anno aumentano del 2-3% lo stipendio in base al costo della vita. Se non gli dai almeno quello, hai voglia a spiegargli che hai un approccio meritocratico. Sei un low perfomer e quindi se ne vanno”.
Così finisce che il 2-3% è un aumento che si dà a tutti e a quelli più bravi si dà il 6 o 7%.


Il turnover in India
“In Asia invece ci sono logiche retributive differenti. Assumi una persona pensando di dargli il 10-20% in più e lui ti chiede il 50% o il 100%. Perché? Competenze rarissime, mercato in espansione e loyalty inesistente sono i fattori che caratterizzano il mercato del lavoro. Ci sono aziende in India che hanno dall’80 al 120% di turnover l’anno: li cambiano tutti. D’altronde con una crescita del mercato dei salari superiore al 40%, un professional locale con competenze ha costi altissimi e poi dopo sei mesi se ne va. Gli operai li paghi poco perché li prendi dalle campagne e li formi da zero, ma il personale tecnico non lo trovi e se lo trovi lo paghi più che in occidente. E spesso lo devi portare dall’Italia”.


Il problem solving? Non è di casa
In generale, prosegue Torlai, l’Asia ha un’altissima propensione all’execution e inesistente attitudine al problem solving. “Se non dite come fare a risolvere un problema li trovate lì fermi dopo una settimana”. Per questo molto spesso si fa prima a mandare un italiano.


Vince l’osmosi, non l’atteggiamento coloniale
“Alla fine però abbiamo creato un mix di successo con locali e persone che abbiamo portato dall’Italia. L’importante è avere dei valori chiari da parte nostra e capire i loro. L’atteggiamento coloniale non funziona, ma vince l’osmosi e ogni anno cresce qualche rara perla di manager locale che abbina competenze tecniche a quelle manageriali”.

Puntando magari sul job title, fondamentale in Asia. “Con quello te li compri”, scherza. “E se qualcuno ti dà il biglietto da visita devi prenderlo con due mani, leggerlo ed esprimere soddisfazione”. Non metterlo in tasca senza guardarlo come facciamo noi. Sarebbe un’offesa.

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