Intervista

Losito, IBM: “Così semplifichiamo le architetture IT: è un problema anche dei CEO”

La realtà di molte aziende è quella di un “IT Frankenstein”, un patchwork applicativo e infrastrutturale che genera enorme complessità e frena il business. La “nuova” IBM affianca i clienti nel percorso di semplificazione, puntando su Cloud e Intelligenza artificiale, con una innovativa proposta tecnologica che poggia sull’Open Source di RedHat. Parla Nico Losito, responsabile della divisione IBM Technologies

Pubblicato il 29 Set 2021

Manuela Gianni

Direttrice, Digital4Executive

Foto di Nico Losito. Fonte: agenzia stampa

Dallo scorso luglio Nico Losito ha assunto la responsabilità della nuova divisione IBM Technologies, nata a gennaio nell’ambito dell’operazione che ha separato da IBM la componente di servizi infrastrutturali (servizi tecnologici, data center, networking), confluita nella neonata Kyndryl. Sotto la sua responsabilità c’è dunque il cuore della “nuova” IBM: in primis le soluzioni Hybrid Cloud e l’Intelligenza Artificiale di Watson, che sono oggi le priorità strategiche, e poi IBM Security e IBM Systems, ovvero l’hardware, oltre che tutta la struttura dell’ecosistema di IBM, come viene chiamato oggi il canale. Oltre a Kyndryl e IBM Technologies, il nuovo assetto di Big Blue si completa con il gruppo dei servizi professionali, IBM GBS Global Business Services, e con RedHat, pioniera nell’Open Source, acquisita nel 2019 e rimasta indipendente.

Con la nascita di Kyndryl il primo settembre e dunque con l’uscita della componente di servizi gestiti, IBM torna a essere una compagnia totalmente focalizzata sulla tecnologia. È una trasformazione radicale, paragonabile probabilmente a quando nel 2005 decise di uscire dal mercato dei personal computer. Quali sono oggi i punti di forza e le priorità di questa nuova IBM?

Occorre fare un passo indietro, perché la strategia è frutto di un processo iniziato 4 anni fa, osservando le esigenze del mercato. Semplificando, oggi vedo due forze che spingono nella direzione del cambiamento. Da un lato c’è il bisogno di innovazione: le aziende hanno bisogno di aumentare ricavi e ridurre i costi, di avere un time to market più rapido e rispondere ai nuovi comportamenti dei clienti, di aumentare flessibilità e resilienza per far fronte ai continui imprevisti.

Dall’altra si è alzato il livello di maturazione delle tecnologie, in particolare il cloud, l’AI e la gestione dei dati. CEO e CIO sono spinti ad avviare iniziative a tutti i livelli, con investimenti e partnership. Il vero problema è la stratificazione e composizione di queste iniziative. Qui interveniamo noi.  Non è semplice per un CIO rispondere alle richieste del business, perché la situazione attuale nella maggior parte delle aziende è quella di un “IT Frankenstein”: un patchwork applicativo e infrastrutturale che genera enorme complessità. Non è un problema solo del CIO, ma anche dei CEO, e vogliamo risolverlo con la nuova strategia, che appunto parte nel 2018 con la partnership con Red Hat, poi diventata acquisizione, quando IBM ha deciso di riscrivere tutto il proprio software con kubernetes per farlo girare su RedHat OpenShift. Open è garanzia di innovazione. Grazie al sistema OpenShift risolviamo il problema della IT Frankenstein perché riusciamo a disaccoppiare l’ambiente infrastrutturale da quello applicativo, con qualunque cloud. Non è solo un vantaggio tecnologico, ma organizzativo: è un approccio che rompe i silos interni, e semplifica l’organizzazione IT. Il risultato è che il development team è uno solo, mentre il deployment è “everywhere”.

Hybrid Cloud e AI sono dunque i perni della digitalizzazione delle imprese. A che punto siamo in Italia?

La strada da fare è tantissima. Circa l’80% dei workload ha bisogno di operazioni di lift and shift cioè di essere spostati sul cloud, ma questa è la parte più semplice. Non c’è un’infrastruttura ideale, il public cloud non va bene per tutti, e poi occorre proteggere gli investimenti fatti in passato. Per questo l’Hybrid Cloud è inevitabile.

I veri benefici, però, si hanno quando si intraprende un vero viaggio architetturale, ma ci vuole grande coraggio. Le grandi aziende si stanno muovendo, abbiamo tanti clienti in particolare fra le banche, le assicurazioni e anche la PA, oltre al mondo energy, telco e manufacturing. Tra chi ha già sposato questa vision, solo per fare qualche esempio, ci sono CREDEM, Piaggio, Prysmian, bofrost*, WINDTRE e molte altre eccellenze italiane. In queste realtà all’avanguardia, l’IT è sempre più considerata centrale, e gli investimenti sono maggiori che in passato.

Diverso è il caso della media azienda. Qui in genere operiamo su un perimetro specifico, come l’automazione di un processo, e con tool specifici come il CloudPak for Automation, un portafoglio software con intelligenza artificiale (AI) incorporata, in esecuzione su Red Hat OpenShift, veramente potente, grazie a una serie di recenti acquisizioni.

Come si compone il portafoglio del software che incorpora l’Intelligenza Artificiale?

È suddiviso in quattro aree, che indirizzano esigenze prioritarie delle aziende. La prima è quella dell’automazione di processo, già citata prima. C’è poi la gestione dei dati e i modelli predittivi, che copre tutto il ciclo, dal collecting, all’analisi fino agli algoritmi. Molto importante è l’offerta per la cyber security, che include prodotti con una market share molto alta. È l’approccio “zero trust”, ovvero basato su accesso con privilegi minimi; mai fidarsi, verificare sempre; supporre sempre la violazione, che si realizza concretamente con le nostre soluzioni di data protection, threat detection, identity management. L’altra area è quella della modernizzazione applicativa.

Avete molto investito anche sulle metodologie, in particolare IBM Garage. In cosa consiste?

Abbiamo appena assunto 45 persone per IBM Garage, perché sappiamo che i clienti top, quelli che hanno desiderio di costruire le architetture di domani, vogliono prima vedere, toccare con mano, co-creare con noi le soluzioni. Serve la velocità delle startup anche a livello enterprise, l’approccio sperimentale, il lavoro di squadra, con team interdisciplinari. Grazie al design thinking e a un metodo collaudato, mettiamo a punto un Minimun Viable Product, una soluzione che ha in sé tutte le funzionalità, e che permette al cliente di decidere se andare in produzione, in un ambiente reale, e poi gradualmente scalare.  Si parte dall’architettura di riferimento, ma le singole implementazioni richiedono specifiche tecnologie, procedure e strumenti per costruire e attuare il modello personalizzato. Che si può ampliare, estendere e variare a seconda delle esigenze.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4