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Cover Story – Favorire le start up per far crescere l’economia

Come in tutte le economie mature, per sostenere lo sviluppo economico e creare nuova occupazione l’Italia dovrebbe puntare maggiormente sulle nuove imprese, soprattutto quelle che nascono nei mercati hi-tech più avanzati. Serve un maggiore impegno da parte della classe politica, del sistema educativo e delle istituzioni finanziarie. Serve un ecosistema che attivi anche da noi – come in altri Paesi – un circolo virtuoso

Pubblicato il 27 Mag 2011

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La correlazione tra start up, sviluppo economico e
occupazione


Da troppi anni ormai il sistema economico del nostro Paese appare
ingessato e incapace di aprirsi alle nuove opportunità offerte
dai settori più innovativi, hi-tech. Abbiamo un PIL che stenta a
crescere, un tasso di disoccupazione giovanile molto elevato e
un’economia focalizzata soprattutto sui settori maturi, che
strutturalmente perdono occupazione. Una situazione che si è
accentuata durante la difficile crisi economica che stiamo
faticosamente tentando di superare. In questo scenario, un
contributo importante alla crescita economica e
all’occupazione può provenire dalla nascita di nuove
imprese.

L’esperienza delle economie più avanzate dal punto di
vista dell’innovazione e dell’imprenditorialità
mostra chiaramente come una componente consistente della crescita
del PIL e dell’occupazione sia legata alla nascita e allo
sviluppo delle nuove imprese. In questi Paesi, la crisi ha
paradossalmente portato ad un’accelerazione di queste
dinamiche. Un recente studio della Kauffman Foundation evidenzia
che, ad esempio, il tasso di start up negli Stati Uniti è
cresciuto in questi ultimi anni: diventare imprenditori è stata
la risposta di milioni di statunitensi ai tagli di occupazione
effettuati da molte grandi imprese. Il record è stato ottenuto
proprio nel 2010, con lo 0,34% del totale degli adulti che hanno
avviato un’impresa, di qualsiasi tipo, per una media di
565mila start up nate ogni mese.

Tra gli ambiti più promettenti per far attecchire e crescere le
nuove imprese c’è sicuramente quello del digitale – delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione – un
settore che sta vivendo proprio in questi ultimi anni una
fortissima accelerazione. È in questo mondo che sono nate le
storie imprenditoriali più di successo, con dinamiche di
crescita incredibili e importanti ricadute
sull’occupazione.


La nuova “new economy”


Facebook – con la sua quotazione recentemente lievitata a oltre
100 miliardi di dollari – è solo la punta dell’iceberg di
un fenomeno molto più esteso. L’elenco di società nate
negli ultimi anni con valori “ufficiosi” di svariati
miliardi di dollari è molto lungo: Groupon, iniziativa nata nel
2008 che ha lanciato online un innovativo sistema di coupon
promozionali digitali, è valutata intorno ai 25 miliardi di
dollari; Twitter, nata nel 2006, che ha inventato un nuovo modo
di concepire i social network basato su brevissimi messaggi,
varrebbe 8-10 miliardi; Zynga, società che offre videogiochi
fruibili su piattaforme di social networking è valutata 7-9
miliardi. Linkedin, prossima all’IPO, oltre 2 miliardi. E
poi Tumblr, che ha inventato un nuovo format di blog
multimediale; Dailybooth e Path, due social network basati su
foto e geolocalizzazione; Square, che opera nell’emergente
mercato del mobile payment; Color, un’applicazione mobile
di condivisione delle foto: tutte aziende nate negli ultimi anni
con investimenti elevatissimi. Esempi di una molteplicità di
start up che nascono ogni mese per operare negli infiniti meandri
del mondo digitale, finanziate – ciascuna – dai Venture
Capitalist con decine e decine di milioni di dollari.

A prescindere dalle discussioni riguardanti la correttezza o meno
di queste quotazioni, una cosa è certa: testimoniano che la
“new economy” – per riprendere un’espressione
molto di moda nella seconda metà degli anni 90 durante il boom
di Internet – è più florida che mai. E se oggi sono le
tecnologie “social” e “mobile” ad essere
al centro dell’attenzione di imprenditori e investitori,
non mancano certo all’orizzonte nuove frontiere: dal
Semantic Web alla Augmented Reality, dal Cloud Computing
all’Internet of Things.


E in Italia?


In questo scenario che ruolo sta giocando il nostro Paese?
Purtroppo molto marginale. Le ricerche internazionali ci
posizionano in fondo alle classifiche per tasso di
imprenditorialità, dietro la maggior parte dei paesi europei:
Regno Unito, Francia, Germania sono nettamente avanti
all’Italia per numero di fondi di Venture Capital, capitale
investito in start up, numero di imprese finanziate. Anche la
Spagna che ha un economia ben più piccola della nostra è più
avanti. Ma perché? Quali sono i motivi di questa situazione? Non
è certo un problema di intraprendenza, di competenze, di
creatività e forse nemmeno di mentalità.

La storia del nostro Paese dimostra chiaramente come è proprio
grazie all’imprenditorialità diffusa che siamo riusciti
nel secolo scorso a diventare una grande economia mondiale.
Inoltre la nostra cultura è imbevuta di inventiva e arte
dell’arrangiarsi, che sono elementi positivi per
l’imprenditorialità.

E non mancano nemmeno esempi concreti che dimostrano chiaramente
che anche in Italia si possono creare start-up di successo:
aziende come Yoox, leader mondiale nell’eCommerce di grandi
marchi dell’abbigliamento, quotata nel 2009; Volagratis,
uno dei principali operatori europei nel settore dei viaggi
online; Gioco digitale, pioniere in Italia nel settore dei giochi
online (venduta a Bwin nel 2009); Venere.net, specializzata nella
prenotazione degli hotel, venduta nel 2008 ad Expedia;
BravoSolution e iFaber, oggi tra i principali player mondiali nei
servizi B2b; Buongiorno, quotata, leader mondiale nei contenuti e
servizi mobile.


L’ecosistema che non c’è


Ma sono – purtroppo – ancora troppo poche. Qual è il motivo per
cui nel nostro Paese non si riesce ad aumentare la dimensione
quantitativa di questi fenomeni imprenditoriali? La risposta sta
nella mancanza di un reale ecosistema. Si tratta forse di un
termine – ecosistema – inflazionato, roboante, dal significato
spesso vuoto, ma temo che di questo si tratti. È necessaria,
infatti, un’azione sistemica per cercare di avviare anche
in Italia quel circolo virtuoso che in altri Paesi è attivo da
tempo: che parte dalla messa in gioco di risorse e investimenti
consistenti per generare un numero crescente di iniziative di
successo, che a loro volta fanno aumentare ulteriormente gli
investimenti e così via.

Parlo di un’azione sistemica perché le risorse da mettere
in gioco sono di natura molto diversa e provengono da soggetti
molto diversi:

  • i decisori politici, che devono dedicare maggiore attenzione
    a questo tema e investire maggiori risorse (le modalità sono
    molteplici, come dimostrano casi di successo a livello
    internazionale: dall’esenzione fiscale degli investimenti
    in start up, all’indirizzamento di risorse finanziarie
    pubbliche anche in questa direzione, da specifiche normative che
    favoriscano l’afflusso anche di risorse private in questo
    ambito ad una normativa giuslavoristica ad hoc per le nuove
    imprese;
  • il sistema educativo, in particolare universitario e
    post-universitario, che deve investire maggiormente nella messa a
    punto di percorsi formativi – che sono anche percorsi
    culturali – in grado di fornire ai giovani più strumenti
    per intraprendere la via imprenditoriale;
  • le istituzioni finanziarie, che devono mettere a disposizione
    ben più risorse. È incredibile la pochezza di investimenti
    effettuati fino ad ora dal mondo finanziario italiano nel suo
    complesso nei fondi di Venture Capital rispetto a quanto è
    accaduto in altri paesi europei.

Su quest’ultimo punto speriamo che l’attuale scenario
internazionale – che sta vivendo un forte incremento del fund
raising da parte dei fondi di Venture Capital (negli Stati Uniti
più 76% nel primo trimestre 2011 rispetto allo stesso periodo
del 2010) possa influenzare positivamente anche il clima in
Italia.

Da sapere

Start up Boosting, un’iniziativa della School of
Management del Politecnico di Milano

Una risposta alla esigenza di maggiore imprenditorialità in
Italia viene dalla School of Management del Politecnico di
Milano. Di recente gli Osservatori ICT & Management – gruppo
di ricerca attivo da oltre dieci anni – hanno avviato Start up
Boosting, una nuova iniziativa mirata a stimolare la nascita e lo
sviluppo di nuove avventure imprenditoriali basate
sull’innovazione, facendo leva sull’esperienza
decennale nell’analisi di casi reali di utilizzo delle
tecnologie digitali e nel supporto allo sviluppo del business di
numerose start up, divenute poi imprese di successo.

Attraverso il succedersi di una serie di Call 4 Ideas collegate
ai diversi Osservatori, Start up Boosting vuole identificare le
idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi,
che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo dalla School
of Management del Politecnico di Milano. I candidati che
supereranno il processo di valutazione saranno supportati nella
messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo
di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi,
nonché di aumentarne l’attrattività sul mercato dei
capitali di rischio (Venture capitalist e Business Angel).
Avranno inoltre la possibilità di frequentare gratuitamente un
percorso di alta formazione presso il MIP, la Business School del
Politecnico di Milano, e saranno supportati del team degli
Osservatori nella ricerca dei capitali di rischio necessari.

Per informazioni www.osservatori.net

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