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Negroponte: «Così è nata all’MIT anni fa l’innovazione di oggi. Il futuro? È il biotech»

Dal palco del WOBI a Milano, il visionario fondatore del MIT Media Lab ha raccontato le origini, negli anni 70 e 80, delle tecnologie che utilizziamo oggi, dall’intelligenza artificiale all’interfaccia touch fino alla geolocalizzazione. «Ridevano di noi, ma è normale. Come oggi fanno ridere gli studi per comunicare direttamente con i neuroni del cervello: basterà ingoiare una pillola»

Pubblicato il 21 Nov 2017

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Nicholas Negroponte, Co-Founder MIT Media Lab

Per parlare di futuro e innovazione digitale, il palco del Wobi 2017 di Milano (World Business Forum) ha accolto Nicholas Negroponte, visionario di fama mondiale, cofondatore del MIT Media Lab (Massachusetts Institute of Technology di Boston), che ha diretto per 20 anni, autore del bestseller “Being digital”, che nel 1996 delineò per la prima volta l’impatto che l’innovazione tecnologica avrebbe avuto negli anni successivi, e da molti anni impegnato in progetti per colmare il digital divide nel mondo dell’infanzia.

La nostra civiltà digitale ha profonde radici nel passato

Negroponte ha innanzitutto rivendicato la necessaria autonomia decisionale dei laboratori di ricerca, unica strada per garantire che l’innovazione porti a veramente qualcosa di utile per la collettività.

«Il mondo delle invenzioni rifugge dalle regole del mercato. Al Media Lab non abbiamo stakeholder, non abbiamo padroni e committenti. Le nostre idee sono l’unica, vera, indicazione che seguiamo. Sono proprio queste idee che, col tempo, arriveranno a cambiare i modelli di business. Ne abbiamo avuto numerosi esempi in passato». Lavorare in piena libertà comporta anche sentirsi dire che ciò che stai studiando non è di alcuna utilità.

«Al Media Lab abbiamo la reputazione di fare cose folli. Quando mi chiedono di cosa ci occupiamo rispondo che sono cose che, per definizione, sono fuori dal mercato in questo momento, ma che in futuro, magari tra un decennio, si tradurranno in soluzioni in grado di migliorare i mercati, sconvolgerli e, in alcuni casi, anche decretarne la fine». E Negroponte ha una lunga lista di esempi da portare: fenomeni letteralmente esplosi solo negli ultimi anni che, in realtà, erano “nella culla” diversi decenni fa al MIT.

Come sono nate Intelligenza Artificiale e auto geolocalizzate

Il primo riguarda il tema più in voga del momento, l’Intelligenza Artificiale. È stato Marvin Minsky il precursore in questo ambito, un ricercatore che ha lavorato al MIT per decenni esplorando le possibili ricadute sulla società della diffusione di macchine e robot dotati di intelligenza, capaci di pensare con modalità del tutto affini a quelle dell’uomo. «Oggi tutti parlano di AI e machine learning, noi nei nostri laboratori la studiamo dai primi anni cinquanta», spiega. «Già allora abbiamo iniziato a cercare una risposta a domande come “Perché le persone amano la musica? I computer capiranno che questo è divertente”»?

Il secondo esempio dimostra senza tema di smentita che Uber non è un’idea di business geniale nata dal nulla, ma è il frutto di una lunga serie di innovazioni tecnologiche iniziate molti anni prima che ne hanno preparato il terreno.

Nel lontano 1963 György Kepes, professore del MIT, inventò un programma che, tramite un computer dell’epoca, permetteva di indirizzare le automobili da un luogo prestabilito a un altro, semplicemente digitando le coordinate del punto di prelievo (picking-point) e di rilascio (drop-off). Il sistema, battezzato CARS (Computer Aided Routing System), aveva coinvolto all’epoca in via sperimentale qualche centinaio di veicoli nella zona di Boston. CARS ne è un esempio, una tecnologia che, a livello di concetto, era già stata sperimentata negli anni Sessanta ma che ha dovuto attendere la maturità di tecnologie come il tracciamento GPS e le mappe satellitari per poter divenire una tendenza di massa.

Un terzo esempio è la videoconferenza a basso costo. L’idea è nata al MIT durante la guerra fredda, il periodo in cui si costruivano i bunker per proteggere i capi di stato da eventuali attacchi atomici. La soluzione per garantire la sicurezza del governo USA fu quella di una riunione virtuale, a distanza, e gli studi si indirizzano in quella direzione.

L’interfaccia touch

Un altro esempio è quello dell’interfaccia touch. «Quando parlavamo di display “touch sensitive” le persone ridevano di noi. In molte pubblicazioni scientifiche era riportato che l’interfaccia di tipo touch non sarebbe mai stata utile, per diversi motivi. Si obiettava che se si tocca qualcosa col dito non si presta la stessa attenzione rispetto a quando si usa un mouse e che il dito non ha la stessa risoluzione e precisione. Oggi, invece, sappiamo che il touch sarà l’interfaccia più usata nel prossimo futuro, non solo per smartphone e tablet ma sempre di più anche per desktop, laptop e server. E che, nel computing, la miglior interfaccia è proprio l’assenza di interfacce».

Il biotech è il nuovo digital

Guardando al futuro, Negroponte ha sottolineato dal palco come il terreno della sperimentazione di frontiera si sia oggi spostato dal computing al biotech. «Il biotech è il nuovo digital» sentenzia, e cita l’inventore dell’inchiostro elettronico (e-ink) utilizzato negli e-book, Joseph Jacobson, un tempo a capo del Molecular Machines group del Center for Bits and Atoms del MIT Media Lab, che oggi si dedica in prevalenza alla microrobotica e sta lavorando a una sperimentazione che sa di fantascientifico. Studia infatti, come inviare al cervello intelligenza artificiale concentrata, attraverso delle pillole (sì, proprio quelle che normalmente prendiamo per farci passare il mal di testa). Potremo così potenziare la nostra intelligenza biologica e permetterci, per esempio, di imparare una lingua sconosciuta in pochissimo tempo.

«Si cercano modi per interagire direttamente con i neuroni, di arrivare al cervello dall’interno: quello che nei film di fantascienza si fa con un casco di solito Ingoiare una pillola e imparare il francese: questo è l’obiettivo dello studio. Fa ridere, lo so, ma pensate se negli Anni 90 vi avessero chiesto di pensare a un mondo senza CD e senza videoregistratore, come è oggi, o senza negozi e uffici, cosa che sta accadendo»? Per non parlare dell’auto: oggi per i ragazzi non è affatto un oggetto del desiderio. Chi l’avrebbe detto 10 anni fa?

Si studia anche come sviluppare la capacità di apprendimento per le materie scientifiche, le cosiddette STEM.

«Impariamo in fretta il francese se viviamo per un certo periodo della nostra vita in Francia, perché il nostro cervello apprende più rapidamente quando è sul luogo deputato. Ecco che allora il nostro obiettivo di scienziati nel prossimo futuro è quello di creare delle Mathland, dei paesi in cui si parla il linguaggio matematico, luoghi virtuali immersivi dove potenziare naturalmente le nostre attitudini naturali e le nostre capacità», ha spiegato.

I bambini: la nostra risorsa naturale più preziosa. La connettività: un diritto di base per tutti

Ma nulla di tutto questo è possibile se non ci si focalizza sull’uomo, sulla sua crescita, sulla sua evoluzione… a partire dalle nuove generazioni, dai bambini di oggi che saranno gli scienziati di domani. A loro «la nostra risorsa naturale più preziosa» è dedicata l’ultima parte del discorso.

Investire nell’educazione per promuovere l’apprendimento (e l’auto-apprendimento in particolare) è un concetto sul quale Negroponte ha insistito parecchio, anche attraverso la Onlus “One Laptop Per Child”. Nel 2005 Negroponte ha presentato un laptop da 100 dollari progettato per i bambini dai 6 a 12 anni, 3 milioni ne sono stati regalati a bambini in 40 paesi del mondo. Un esperimento, compiuto in Etiopia, ha dato risultati incoraggianti: senza avere alcuna infarinatura dello strumento, i bambini di alcuni villaggi del Corno d’Africa sono riusciti a capire e a utilizzare il tablet in soli 5 giorni.

Una battaglia, quella a favore della digitalizzazione per tutti e a sostegno dell’educazione, che Negroponte porta avanti anche scontrandosi con i colossi mondiali delle TLC e sostenendo che «la connettività per tutti dovrebbe essere equiparata ai diritti umani di base», quindi sottratta alle logiche di convenienza del mercato privato.

«In Uruguay tutti i bambini che frequentano le scuole elementari hanno un laptop e tutti gli ultra 65enni un tablet, fornito gratuitamente dalle amministrazioni pubbliche. Il governo uruguaiano ha investito in modo cospicuo nell’educazione, che rappresenta quello che la collettività fa per il singolo, in modo da potenziare le opportunità di apprendimento, ovvero quello che ciascuno di noi fa per sé stesso, per migliorare la propria cultura e la propria conoscenza».

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