Compagnie telefoniche

Gestori telefonici e penali: facciamo chiarezza

Le penali per chi recede dal contratto per passare a un altro opertore non ci sono ma le varie compagnie telefoniche hanno fatto in modo da reintrodurre, o comunque mantenere, dei costi decisamente elevati. L’Autorità garante nelle comunicazioni è dovuta intervenire per difendere in qualche modo i diritti dei consumatori, imponendo che gli importi ammessi fossero giustificati dagli operatori

Pubblicato il 22 Ott 2015

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Secondo la legge nessun gestore telefonico può imporre al proprio cliente, che decide di recedere dal contratto per passare a un altro operatore, di pagare una “penale”. Nell’affare dei “costi” di recesso, che tra l’altro sono a parte, la parola “penale” era stata di fatto eliminata dalla legge numero 40/2007, meglio conosciuta come “Legge Bersani”, che mirava a semplificare molte procedure burocratiche sia al cittadino che alle varie imprese.
Di fatto però, alla scomparsa della penale, le varie compagnie telefoniche hanno fatto modo e maniera di reintrodurre o comunque mantenere dei costi decisamente elevati, nel caso in cui il cliente avesse deciso di “emigrare” verso altri operatori.

La manovra subdola è stata molto sottile perché si è basata semplicemente sul cambiamento del termine “costi” in innumerevoli sinonimi ed espressioni, che vogliono comunque significare che lasciare il proprio operatore costerà un certo salasso.

La questione diventa evidentemente paradossale se si pensa che, chi sceglie un operatore telefonico, lo fa per risparmiare approfittando dell’offerta del momento. Le compagnie infatti ormai offrono proposte dove è difficile muoversi e capire l’occasione, tanto sono numerose, e quale sia quella più conveniente. Lo fanno esclusivamente per combattere in tutti i modi la concorrenza.
La penale quindi, di fatto annullata nel 2007, è tornata a tutti gli effetti, tanto che nel 2008 l’Autorità garante nelle comunicazioni è dovuta intervenire per difendere in qualche modo i diritti dei consumatori, imponendo che gli importi ammessi fossero giustificati dagli operatori.

E’ stata questa imposizione che ha dato libero sfogo alla fantasia delle compagnie telefoniche, che hanno introdotto “nuovi” oneri per la chiusura dei contratti, soprattutto quelli che nell’offerta avevano incluso modem o smartphone.
Per fare qualche esempio, nei contratti sono state riportate espressioni come “importo di dismissione” da Fastweb, di “contributo (di) disattivazione” da Teletu e Tiscali, mentre si parla di “costi per l’attività di migrazione” per la Telecom. Per Vodafone invece si tratta di “corrispettivo recesso anticipato”.

Come si possono difendere i consumatori

Prima di firmare qualsiasi contratto è necessario che si conoscano tutte le condizioni e anche le spese per un eventuale recesso anticipato e in vista del passaggio ad altro operatore.
Per questo è utile consultare le tariffe delle varie compagnie telefoniche elencate anche in questa lista del sito di Facile.it alla pagina www.facile.it/adsl/compagnie.html, dove si possono verificare tutte le voci del contratto prima di stipularlo e avere un’idea chiara rispetto a quello a cui si va incontro.
L’importo naturalmente dei costi di chiusura varia da gestore a gestore e molti sono decisamente cari, mentre altri di meno, infatti gli importi vanno da 30 a 100 euro. Per ogni compagnia quindi è bene verificare anche questo particolare, in modo che ci sia la massima trasparenza e ci si prepari nel caso di “abbandono” del vecchio operatore.

La procedura e i costi

Spesso la procedura per rendere effettiva la disattivazione di un contratto ed essere liberi di cambiare gestore può rivelarsi lunga e complicata. Lettere raccomandate, codici di migrazione, cambio operatore, sono le voci più ricorrenti ma bisogna sapere anche come comportarsi secondo quanto suggerisce la legge attuale.

All’imposizione delle “penali mascherate” i consumatori hanno chiesto a gran voce di mettere mano, non solo alla Agcom che pure ha imposto che i costi fossero effettivi, ma anche alla politica per snellire anche le procedure del passaggio nel mercato libero.
Anche qui però interviene un paradosso, se si pensa che a fronte della facilità con chi si può usufruire di un’offerta, è difficile poi lasciarla, perché le compagnie aumentano sempre di più i vincoli ai quali i loro clienti sono legati, a cominciare dalla durata dell’offerta. L’Agcom insieme al MISE puntano ad accorciare la durata delle offerte (massimo 12 mesi e non più 24 o 30 mesi), e di fissare una volta per tutte dei costi chiari e fissi per l’uscita dal contratto, con il Ddl concorrenza.
In realtà si punta all’azzeramento di tali costi che nei fatti non sono dovuti, come già avviene per la chiusura dei conti corrente bancari. Per quanto riguarda la presenza del modem o di un cellulare nell’offerta, se verrà approvato il Ddl, si dovrà pagare solo l’ammontare del bene incluso.

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