Snam e Intesa Sanpaolo, due punti di vista sulla Smart Home

I casi del gruppo del settore gas e del ramo di assicurazioni sulla casa Smart Care del gruppo bancario insegnano che lo sviluppo della rete fisica e commerciale per l’Internet of Things deve essere un processo graduale e all’insegna della semplicità. Standard condivisi e soluzioni mass market sono la premessa alla diffusione delle tecnologie e delle pratiche d’uso

Pubblicato il 17 Set 2015

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Facile dire Internet of Things. Ed è entusiasmante guardare al futuro prossimo, immaginare quando gli oggetti comunicheranno tra loro alla velocità del pensiero individuando problemi ed elaborando soluzioni prima ancora che gli operatori umani possano rendersi conto dei disservizi. Dalle reti energetiche (Smart Grid) alla domotica, saranno i sensori e i network IP a convogliare tutte le informazioni che i sistemi di ottimizzazione produrranno per rendere sempre più efficienti e personalizzati i servizi. Ma per trasformare questa visione in realtà occorrono obiettivi chiari, pesanti investimenti, e soprattutto un affiatato gioco di squadra tra i vari player.

Snam e Intesa Sanpaolo sono già al lavoro per costruire il futuro, naturalmente con esigenze molto diverse. La prima deve occuparsi dell’evoluzione dei terminali di una rete, quella del gas, che di fatto risulta invisibile al consumatore finale. La seconda, attraverso l’offerta assicurativa, punta a costruire attorno ai clienti un ecosistema che garantisca sicurezza e semplicità d’uso.

Giuseppe Falivelli, ICT-Telecommunication and Integrated Systems Manager di Snam, e Alessandro Scarfò, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Intesa Sanpaolo Smart Care, hanno fatto il punto della situazione in occasione del convegno “Internet of things: l’innovazione che crea valore”, che si è tenuto al Politecnico di Milano per presentare i risultati dell’ultimo report dell’Osservatorio Internet of Things dell’ateneo milanese.

Falivelli ha prima di tutto messo in evidenza i vincoli normativi entro i quali lavora la sua organizzazione, «che prevedono, su un panorama di circa 20 milioni di contatori sul gas, l’obbligo di installare smart meter, entro il 2018, sul 60% del parco totale». Se fino al 2014 vigeva solo l’adeguamento del parco contatori con tecnologie intelligenti, quest’anno l’obiettivo è attivare le funzionalità di telelettura su un minimo del 3% della rete.

«Snam gestisce circa 6 milioni di contatori, e abbiamo rispettato ovviamente i vincoli imposti dall’Autorità. Certo è che l’avanzamento tecnologico di soluzioni che possono essere viste in sinergia anche con altri servizi al momento non va di pari passo con l’ottemperanza alle disposizioni, perché mettere in piedi un’infrastruttura di comunicazione, sia che radio, short range o long range o basata su un qualsiasi altro sistema avanzato di comunicazione, è al momento qualcosa di lontano dal business di una utility».

Intesa Sanpaolo Smart Care

Per Intesa Sanpaolo Smart Care, al contrario, le nuove tecnologie sono alla base del business in sé perché il mercato, stando a quanto spiega Scarfò, è pronto. «C’è stata sicuramente un’evoluzione dal punto di vista del cliente e del consumatore finale, ed è quella che noi come banca e come assicurazione apprezziamo in modo più immediato. Ma esistono sono alcune condizioni perché questo succeda. Prima di tutto bisogna pensare alla semplicità: le famiglie chiedono qualcosa che sia estremamente semplice da capire, da usare, da installare e non abbia grosse complicazioni nell’utilizzo, perché altrimenti il livello di attenzione viene perso subito».

La società offre la polizza aCasaConMe, basata su una una centralina (con sensore volumetrico integrato), un sensore fumo, due sensori allagamento, un indicatore antifurto e due telecomandi antifurto: un sistema autoinstallante e personalizzabile in base a varie esigenze di prevenzione e protezione contro allagamenti, fumi, perdite di gas, sbalzi di tensione elettrica, intrusioni di ladri.

Il manager di Intesa Sanpaolo ha sottolineato come temi rilevanti l’integrazione («dispositivi diversi devono poter essere gestibili da un’unica interfaccia, con un’unica logica di utilizzo»), e il fatto che quello che davvero interessa ai consumatori non è tanto la tecnologia, semplice elemento abilitante, quanto il valore aggiunto che quella tecnologia offre. «Ovvero se io ho una perdita d’acqua in casa, la tecnologia mi permette di intervenire subito sul problema in primo luogo bloccando gli effetti del guasto e in seconda istanza chiamando automaticamente un idraulico per risolverlo».

Sebbene impostazioni e priorità siano diverse, Snam e Intesa Sanpaolo, nell’affrontare le sfide dell’Internet of Things, condividono l’idea che il business del futuro potrà avere successo solo se si opererà utilizzando standard definiti, condivisi e puntando alla massima chiarezza. «Bisogna pensare a impostare una metodologia per regolarizzare la coesistenza e lo sviluppo di questi sistemi», ha confermato Falivelli.

«Quello del gas, per me, da questo punto di vista è un esempio virtuoso: noi siamo partiti dal non avere niente al dare un imprinting tecnologico importantissimo a questo mondo. Nel 2008 c’era solo un organismo tecnico come braccio operativo dell’Autorità che aveva emanato la delibera che ha definito le regole tecniche del gioco, ma che a mio avviso si sono rivelate importantissime perché è sulle regole che si stabilisce la pletora di standard disponibili, protocolli di comunicazione e di interoperabilità. E non abbiamo ancora finito, stiamo ancora chiudendo sull’intercambiabilità. Costa di più aspettare, me ne rendo conto – osserva Falivelli -, però va definito, come è stato fatto per il gas, anche per tutti gli altri oggetti un impianto normativo che regoli la coesistenza dei vari sistemi».

Dal punto di vista di Scarfò la vera scommessa è riuscire a portare la trasformazione dell’IoT sul mercato di massa, il che significa renderla il più semplice possibile. «Noi abbiamo lavorato in tre direzioni – ha detto il numero uno di Intesa Sanpaolo Smart Care -. Prima di tutto abbiamo parlato di servizi e non di tecnologia. Il secondo punto fondamentale è che nella nostra proposizione abbiamo fatto a meno degli installatori. Grazie a una procedura autoinstallante che ci è costata non poche sessioni di test, le telefonate di clienti che non sono riusciti ad avviare il sistema si contano veramente sulle dita di una mano».

Terzo punto è il pricing, impostato su una logica pay per use, o meglio try and buy. «Si apre così un canale completamente diverso e non specialistico. Di sicuro ci saranno altri canali retail che entreranno in questo business: per me avranno successo se saranno canali push. In questo momento un canale pull non funziona, perché non c’è sufficiente maturità e consapevolezza tra gli operatori retail».

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