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Social media e aziende, una visione dall’Italia

Analisi di esperti e casi concreti dalla sesta edizione dell’evento Social Business Forum di OpenKnowledge, dedicato al digital marketing e alla social enterprise, tenutosi a Milano

Pubblicato il 24 Giu 2013

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Come passare dal business tradizionale, che si misura con i fatturati d’impresa e il PIL, a quello più innovativo e “sociale” che mette al centro la ricerca del benessere e la felicità delle persone?

Con questa provocazione di Emanuele Scotti e Rosario Sica, entrambi fondatori di OpenKnowledge, si è aperto nei giorni scorsi a Milano il Social Business Forum 2013, una due giorni dedicata ai temi del digital marketing e della social enterprise che, in questa sesta edizione, ha raccolto circa 2000 iscritti tra gli addetti ai lavori.

I partecipanti hanno potuto visitare una piccola area espositiva e ascoltare nelle varie sessioni le presentazioni di una sessantina di esperti internazionali – tra questi nomi noti come Michael Brito, Sandy Carter, Esteban Kolsky, Sameer Patel, Brett King, Ram Menon, Jacob Morgan, Ray Wang, George Siemens – oltre ai responsabili di aziende italiane, come Barilla, Illy Caffé, Ferrero, Pirelli, Zegna, raccontare le loro esperienze significative con il social business.

La fine del lavoro come lo conosciamo

Se da una parte i social media hanno cambiato l’atteggiamento dei clienti in molti mercati, dall’altra reclamano innovazione organizzativa e culturale da parte delle imprese. Tra gli interventi più ‘garbatamente destabilizzanti’ al proposito c’è stato quello di Jacob Morgan sulla fine del lavoro come lo abbiamo finora conosciuto.

Per l’autore di ‘Collaborative Organization’, un libro che descrive e analizza le caratteristiche della nuova collaborazione d’impresa, tutte le parole che definiscono i rapporti di lavoro, come “assunto”, “dirigente” o tante altre sono ormai desuete, e non solo nell’etimo. “E’ cambiato il modo d’interagire nell’impresa – spiega -. Entro tre anni la metà della forza lavoro sarà costituita da nativi digitali che imporranno alle aziende un diverso modo di lavorare, più aperto all’ascolto delle persone, alla condivisione dell’informazione, come necessario per competere sul mercato”.

Quando un solo tweet scatena una crisi

Tra le numerose esperienze positive con i social media, spicca quella altrettanto significativa di Whirlpool che spiega molto bene i rischi a cui può andare incontro al giorno d’oggi una impresa. Giuseppe Geneletti, direttore comunicazione di Whirlpool EMEA, ha parlato del caso KitchenAid: quando, nell’ottobre scorso durante un dibattito elettorale in diretta TV alla presenza del presidente USA, un dipendente dell’azienda ha postato un tweet offensivo contro Obama, usando per errore l’account aziendale anziché quello personale.

“Pur essendosi accorto subito dell’errore e cancellato il messaggio, il tweet ha continuato a propagarsi in rete moltiplicato in modo esponenziale da altri utenti”. L’azienda ha quindi dovuto impegnarsi nella gestione di una vera propria crisi, coordinando la comunicazione e monitorando le reazioni sui social media, secondo un modello organico. Un modello utile per affrontare anche le emergenze più comuni del “social business” quali, per esempio, la gestione delle lamentele di un consumatore.

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