editoriale

Si parlerà anche di economia reale nella campagna elettorale in corso?

Rendere più competitiva la nostra economia si può e non esiste, per molti dei possibili interventi, una reale barriera finanziaria. Sembrerebbe un tema centrale su cui confrontarsi in campagna elettorale, ma non se ne parla quasi.

Pubblicato il 18 Gen 2013

Economia-reale

All’origine dei nostri guai attuali vi è innanzitutto il debito – più di 2 mila miliardi di euro – che abbiamo cumulato nei quasi 70 anni trascorsi dalla fine della guerra. Ma anche la nostra economia dà il suo contributo: non espandendosi infatti, o addirittura contraendosi, lascia che il rapporto fra debito e PIL continui a crescere e che si alimenti una spirale in cui l’aumento della tassazione – volto a contenere l’incremento del debito – impatta negativamente sulla domanda interna, sull’occupazione, sul PIL e sul gettito fiscale, inducendo un nuovo incremento della tassazione stessa.

È in atto in altre parole una sorta di politica industriale alla rovescia, in cui la carenza di risorse impedisce sia le misure volte a incoraggiare la domanda sia quelle volte a favorire l’innovazione e la nascita di nuove imprese o la realizzazione di infrastrutture (quali le reti telecom di nuova generazione). Ma la nostra economia non soffre solo di questo: soffre di un sistema di regole pesante e talora contradditorio, che frena o addirittura blocca le nuove iniziative; soffre di una pubblica amministrazione spesso carente nell’organizzazione e nello sfruttamento dell’ICT, che carica di costi impropri rilevanti le imprese che devono interagire con essa; soffre di una giustizia civile lenta e onerosa, che disincentiva gli investimenti in Italia delle imprese estere ma anche delle italiane.

Rendere più competitiva la nostra economia si può, con recuperi di efficienza e di efficacia potenzialmente molto rilevanti – come dimostrano le analisi dell’Osservatorio sull’Agenda Digitale della nostra School of Management – che potrebbero rappresentare una vera e propria scossa per il Paese. Le competenze ci sono, sia in tema di ICT sia di organizzazione. Non esiste, per molti dei possibili interventi, una reale barriera finanziaria: in particolare non per quelli che vanno sotto il nome di semplificazione, che non solo non costerebbero ma porterebbero a risparmi quasi immediati sia nella pubblica amministrazione sia nel settore privato. La vera barriera è la mancanza della volontà politica di superare le resistenze – talora fortissime – che si frappongono a ogni ipotesi di cambiamento: una barriera sperimentata dal  governo uscente, che in questo ambito ha portato a casa risultati molto inferiori alle intenzioni iniziali.

Sembrerebbe un tema centrale su cui confrontarsi in campagna elettorale, ma non se ne parla quasi. Tutta l’attenzione è concentrata sul come debbano essere ripartiti i sacrifici per contenere il debito – ad esempio sulla introduzione o meno di una patrimoniale – invece che sul come ridurre, almeno in prospettiva, l’entità dei sacrifici.

Forse è fuorviante la denominazione Agenda Digitale (tratta dal linguaggio della UE), sotto cui molti interventi di semplificazione e ristrutturazione della pubblica amministrazione vengono classificati: una denominazione incomprensibile ai più secondo una recente indagine demoscopica, che può far pensare a una tematica di natura specialistica. Ma andrebbe ricordato a tutti che il tema dello snellimento dell’amministrazione federale e della semplificazione delle regole fu centrale – vent’anni fa – nella lotta per la presidenza fra Clinton e Bush padre: con ambedue i candidati, ancorchè in misura e con modalità differenti, obbligati all’azione da una opinione pubblica esasperata dall’eccesso di presenza e dai costi della burocrazia.

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